RECENSIONI


Un incontro problematico

Pierrette Lavanchy recensisce Il grido e il silenzio. Un in-contro fra Celan e Heidegger, di Laura Darsié, Mimesis, Milano-Udine 2013.


Il 25 luglio 1967, Martin Heidegger ricevette il poeta Paul Celan nella sua casa di montagna di Todtnauberg, nella Foresta Nera. Il giorno prima, il filosofo e il poeta si erano incontrati in occasione di una lettura di poesie di Celan all’università di Friburgo-in-Brisgau, organizzata dal professor Gerhart Baumann che si era assicurato la presenza di Heidegger. Era poi stato il filosofo a invitare direttamente il poeta per l’indomani a casa sua. L’incontro ha avuto una particolare risonanza nel mondo della cultura e ha suscitato numerose riflessioni, curiosità, polemiche, perplessità, ispirando commenti, tesi e studi. Ed è ampiamente evocato quale evento epocale, nel libro di Laura Darsié Il grido e il silenzio. Un in-contro tra Celan e Heidegger, dedicato al cammino parallelo del pensatore e del poeta quanto alla ricerca della Parola.

Che cosa ha avuto di così speciale, di così clamoroso, questo incontro, da continuare a destare interesse dopo più di mezzo secolo, nel mondo filosofico come nei poeti, germanisti o studiosi di letteratura in genere? Una prima risposta, che prescinde dalla personalità degli attori, chiama in causa la risonanza mediatica immancabile del fatto che un filosofo celebre, allora settantottenne, accogliesse nel suo pensatoio un poeta quarantasettenne, dopo essersi disturbato per andare a sentirlo all’università. Ma il motivo d’interesse più eclatante è legato all’identità dei personaggi: Paul Celan era un ebreo originario della Bucovina (oggi in Ukraina), i cui genitori erano morti dopo essere stati internati in un campo di concentramento; il professore tedesco Martin Heidegger aveva aderito al Nazionalsocialismo nel 1933 quando era diventato rettore dell’Università di Friburgo e, pur avendo dato le dimissioni dalla sua carica dopo un anno scarso, non aveva mai preso le distanze dal suo coinvolgimento in maniera convincente. Una vittima che incontra il suo persecutore, e che per di più lo ha cercato e studiato da anni, ecco l’elemento inquietante che fa problema.

Dell’incontro di Todtnauberg (che, per inciso, significa “Monte della Morte”) in realtà si sa allo stesso tempo molto e poco. I documenti in proposito sono le lettere scambiate tra il poeta e sua moglie Gisèle a ridosso dell’evento, le righe scritte da Celan nel libro degli ospiti di Heidegger e la poesia Todtnauberg composta alcuni giorni dopo la visita, oltre alla testimonianza scritta del professor Baumann. Dalle lettere sappiamo che Celan era in ansia all’idea di incontrare Heidegger all’università, ma che era poi uscito molto sollevato dal contatto col filosofo. Dalla dedica e dalla poesia è stata rilevata la ricorrenza dell’espressione Hoffnung auf ... ein kommendes Wort, «speranza di una parola a venire». Quale parola? Un’interpretazione frequente è che il poeta aspettasse dal filosofo un riconoscimento, per non dire una confessione, della sua colpa passata. Anche se, conoscendo il pensiero di Heidegger sul linguaggio, che Celan aveva studiato accuratamente, si può pensare, come pensava Andrea Zanzotto, che l’espressione si riferisse piuttosto alla parola poetica, la parola attraverso la quale potrebbe manifestarsi l’Essere. Ad ogni modo, anche il filosofo, nel ringraziare Celan per l’invio della poesia Todtnauberg, riconobbe che tra loro molte cose erano rimaste inespresse [zugeschwiegen, neologismo che l’autrice traduce: dette in silenzio] e si sarebbero potute risolvere un giorno nel dialogo.

Laura Darsié, per parte sua, sceglie di «spostare l’attenzione dal senso di una mancata parola del pensatore al poeta, verso quello dell’enigma come mistero dell’in-contro fra poetare e pensare» (p. 141). Un incontro che coinvolge i soggetti con le loro singolarità biografiche, ma anche con le sorgenti storiche della loro ispirazione. Celan è l’esule errante sfuggito allo sterminio dalla Bucovina a Bucarest, da lì a Vienna poi a Parigi, mentre Heidegger è solidamente radicato nella sua patria; Celan è ebreo, di una famiglia osservante, per la quale la Parola è innanzitutto biblica, mentre Heidegger si è distaccato solo a trent’anni dalla fede cattolica, per mettersi in ascolto della Parola dell’Essere; Celan è colui che, tra le molte lingue conosciute e usate nel suo lavoro di traduttore, parla e compone in tedesco, «la lingua degli assassini» come l’ha definita lui stesso, che gli è stata insegnata da sua madre, uccisa nel campo di concentramento. Eppure queste due persone che tante cose dividono si cercano nel corso degli anni: fin dal 1952, a trentadue anni, Celan legge le opere di Heidegger, a cominciare da Essere e Tempo, mostrando di cercare, attraverso sottolineature e annotazioni, da una parte apporti linguistici (parole ed espressioni tali da migliorare la sua padronanza della lingua tedesca), dall’altra riflessioni sul ruolo del poeta, sulla traduzione, sull’ispirazione, sulla poesia, nella scia dello scritto di Heidegger Holzwege (“Sentieri interrotti”) del 1950. Dal canto suo Heidegger, dopo la giornata di Todtnauberg, continua a seguire Celan assistendo regolarmente alle sue letture pubbliche. Ce n’è abbastanza per intuire che la ricerca di un dialogo fra i due uomini si presenti come un’impresa insolubile, anche se tanto ostinatamente perseguita. Ecco perché Laura Darsié insiste nello scindere con il trattino la parola “in-contro”, facendo risaltare la presenza del “contro” nel vocabolo che evoca la riunione – come del resto il tedesco Begegnung contiene gegen, “contro”.

L’uso del trattino è tipico della scrittura di Heidegger, ma anche Celan lo ha praticato del tutto autonomamente. L’Autrice mostra una grande fedeltà a  entrambi i suoi interlocutori nel ricorrere volentieri a questa pratica e, più in generale, nel modo in cui analizza le parole delle poesie che riproduce, traduce e commenta. Così fa con la poesia Todtnauberg, analizzando i vocaboli e facendo risaltare l’ambivalenza insita nella scelta di alcuni di essi. Per un lettore ingenuo, l’arnica, la fontana, i prati, il libro degli ospiti che compaiono nel breve testo hanno un corrispettivo naturalistico negli oggetti incontrati nel corso della passeggiata nei boschi; la stella rinvia a un ornamento scolpito sulla fontana; l’«umido, molto» (Feuchtes, /viel) può alludere alla pioggia caduta quel giorno. Ma la lettura allegorica di Laura Darsié rileva «accostamenti stridenti»: i particolari campestri assumono toni sinistri, l’umido è quello delle lacrime, la parola usata per i tronchi significa anche “manganello” (Knüppel), i prati sono resi da un’espressione (Waldwasen) che in testi tedeschi antichi significa “tomba”. In questa luce, quello che poteva essere uno scritto di circostanza, espressione di gratitudine e di speranza, si carica di ambiguità e di ostilità. Eppure esso  conserva tuttavia un riferimento all’evento. Invece, per la maggior parte, le poesie di Celan sono ermetiche, ellittiche, difficili da collegare con un oggetto definito. Fa eccezione Todesfuge («Fuga di morte»), la composizione più nota (relativamente precoce, del 1945), in cui il poeta si riferisce senza equivoci possibili al campo di concentramento dove si beve «latte nero» (Schwarze Milch). Ma l’atteggiamento del poeta verso questa composizione non è lineare: da una parte la legge molte volte in pubblico, malgrado la frustrazione che gli recano le risposte, che non riconoscono mai il suo intento; dall’altra cerca di evitare tutto quello che di autobiografico potrebbe apparire nelle sue opere, al punto di non voler indicare la data dei suoi poemi. Nei termini di Bertrand Badiou, mostra la volontà di «seppellire la biografia per lasciare parlare la scrittura, essendone la traccia più reale e più violenta» (p. 107, nota).

Laura Darsié adotta la stessa impostazione, quando presenta le poesie o frammenti poetici con il loro preciso riferimento bibliografico alle opere complete di Celan, volume e pagina, ma senza segnalare la data di composizione o di pubblicazione del singolo brano. Nel suo libro, sembra quindi voler dare la precedenza all’universo del discorso poetico all’ombra dell’Essere rispetto all’universo dei fatti storici legati all’Esserci. I fatti sono segnalati in nota, e quindi sulla pagina sono in basso, dando graficamente l’idea di una inferiorità dell’evento terreno rispetto alla parola filosofica o poetica (ermetica). Non c’è da stupirsi quindi se il commento dell’Autrice si muove sul piano simbolico, analizzando le parole nella loro relazione con il pensiero heideggeriano, soffermandosi sulle espressioni enigmatiche quali «cristallo di respiro» (Atemkristall), «fili di soli» (Fadensonnen), «crepe del morire» (Sterbegeklüft), sui paradossi della parola in ascolto del silenzio, sugli aspetti cupi, tenebrosi, faticosi, dell’ascesa tentata verso qualche bagliore di luce. Penso in particolare al poema Sprich auch du, «Parla anche tu», in cui irrompe un’immagine magica: il poeta esorta se stesso a salire sottile come un filo lungo il quale scenderà la stella per nuotare laggiù dove si vede brillare, «nella risacca delle parole fluttuanti». Laura Darsié fa risaltare in proposito la contrapposizione tra il movimento ascendente del poeta, lontano dalla storia e dalle sue macerie, e quello discendente della  stella che tende verso il suo riflesso, per un “in-contro” utopico.

Un libro ricco, estremamente documentato, difficile, ma che invita ad approfondire la relazione di due personalità eminenti e problematiche, tormentate, entrambe impegnate nell’impresa impossibile di mettere a tacere il passato nelle parole della poesia.




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