RECENSIONI


Naturalismo o ghost story? A proposito di Shadow line: a confession, di Joseph Conrad

Giampaolo Lai recensisce The shadow line: A Confession, di Joseph Conrad (1917), trad. it. di F. Marenco, La linea d'ombra, Einaudi, Torino 2008.

n. 53 aprile 2015


Shadow line: a confession, “la linea d’ombra, una confessione”, è un romanzo breve della tarda età di Joseph Conrad, scritto infatti nel 1917, quando lo scrittore, già famoso, aveva sessant’anni. La linea d’ombra sarebbe la linea, appunto, lo spazio, il momento, che separa la giovinezza dall’età che viene dopo, maturità o responsabilità che chiamare si voglia. «E pure il tempo passa, finché uno si accorge di una linea d’ombra davanti a sé che lo ammonisce che la regione della giovinezza deve essere lasciata dietro.» Il protagonista che si confessa è un marinaio, ufficiale in seconda di una nave nella quale è trattato bene e rispettato, «con una ciurma che gli piace: non avrebbe potuto essere più felice se avesse avuto la vita e le persone attorno a lui costruite a suo capriccio da un benevole incantatore».
     Enchanter. Troviamo questo termine fin dalle prime pagine del romanzo: enchanter, mago, incantatore, operatore di incantesimi. Che cosa ci sta a fare questo richiamo, questo clin d’oeil, questo suggerimento, hint, fin dalla ouverture dell’opera al mondo della magia, dei sortilegi? «Guido vorrei che tu e Lapo e io / fossimo presi per incantamento / e messi in un vasel che ad ogni vento / per mare andasse a voler vostro e mio.» Improvvisamente, senza una ragione esplicita, il giovane marinaio decide di lasciare l’incarico, si licenzia, e si appresta ad aspettare, non sa bene che cosa. «Abbandona tutto questo, come un uccello lascia il ramo su cui si trova a suo agio, come se senza saperlo avesse udito un sospiro o visto un’ombra. Un giorno andava tutto bene e il giorno dopo tutto era diventato privo di interesse, come se la verde malattia della noia lo avesse avvolto. “Spero tu troverai ciò di cui vai in cerca con tanta ansia”, gli dice benevolo il capitano.» E infatti sembra trovarlo nel capitano Gilas, in una bettola di Bangkok, che lo convince a indirizzarsi al posto giusto dove gli viene offerto inaspettatamente il comando di una nave nel porto. «La parola magica: comandante!» Di nuovo un termine che parla di magia. Il marinaio parla dell’offerta, che accetta naturalmente, come di un miracolo, «il giorno dei miracoli», gli sembra di essere in un sogno, si sente come se  improvvisamente un paio di ali fossero spuntate sulle spalle, come se scivolasse sulle acque, se vorticasse, confuso, meravigliato. Come se fosse stato destinato specificamente per quella nave da comandare, da qualche potenza più alta che non le prosaiche agenzie del mondo commerciale. «Era stato investito del comando di una nave in un batter d’occhio, non secondo il comune corso delle cose, ma come per un incantesimo, come in una favola.» Di nuovo l’incantesimo.
     Quando il marinaio prende possesso della sua nave, della quale sarà d’ora in avanti il comandante e il capitano, master and commander, ascolta informazioni e pettegolezzi sul vecchio capitano che lo aveva preceduto, che suonava il violino e amava le donne, morto di un colpo apoplettico mentre la nave era in navigazione, e il cui cadavere era stato gettato in mare in un punto esatto, alla latitudine 8 d 20 nord. Poco prima di morire, il vecchio capitano aveva buttato il violino fuori bordo e aveva avuto un alterco violento nel corso del quale aveva lanciato la sua maledizione: «Spero che né la nave né nessuno di voi raggiunga mai la terra ferma». Riflettendo sul vecchio capitano che lo aveva preceduto, e che aveva tradito la sua funzione di uomo di mare perdendo il controllo di sé e della nave, il nuovo giovane capitano sente questo, che anche in mezzo al mare un uomo può cadere vittima degli spiriti cattivi, evil spirits; e avverte sul suo volto il soffio di poteri sconosciuti che modellano i nostri destini. Incantesimi, magia, favole, spiriti cattivi. Si moltiplicano i termini che alludono al mondo soprannaturale. Una volta salpata la nave, ben presto gli effetti degli spiriti cattivi si fanno sentire. Sul mare si instaura una bonaccia interminabile, di settimane. I marinai si ammalano uno dopo l’altro, con sintomi di colera, con febbre alta o brividi di freddo. «Il clima fece il resto, con la rapidità di un mostro invisibile, imboscato nell’aria, nell’acqua, nel fango del fiume. Avrei potuto essere il comandante di un pianeta che volava vertiginosamente sulla sua strada stabilita da altri in uno spazio di infinito silenzio.» Il comandante in seconda, Burnes, è il portavoce degli effetti della maledizione del vecchio capitano morto. È lui la causa di tutto, se ne sta nascosto nei fondali marini con intenzioni maligne, che mette a segno quando vuole, mandando la bonaccia, mandando le febbri, la pestilenza sulla nave. Non si arrende nelle sue argomentazioni ossessive quando il giovane capitano gli dice che i morti non hanno il tempo di pensare ai vivi, e che, quanto a lui, il vecchio capitano non lo conosceva nemmeno. «Non importa, ribatte Burnes, conosceva la nave.»
     È la nave l’oggetto della maledizione. E un altro terribile effetto della maledizione viene scoperto qualche giorno più tardi, quando il nostromo si accorge che le bottiglie di chinino sono state manomesse, e il chinino sostituito con una polvere bianca, composta di zuccheri e altre sostanze senza effetto. Era stato, assicura Burnes, il vecchio capitano che aveva venduto il chinino. Il vecchio capitano non era matto, continua Burnes nella sua teoria ossessiva. Era assolutamente cattivo. Non era altro che un ladro e un assassino. E ora è come un nemico vivente. Un diavolo della febbre. È inutile pensare che ora le cose siano differenti perché è morto. La sua carcassa giace a centinaia di piedi in fondo al mare, ma lui è sempre lo stesso, fino alla latitudine di 8 d 20 nord. Poi una brezza arriva che si trasforma in vento. Cade la pioggia. La nave avvista una terra. È soccorsa da medici e da marinai. Al porto, il giovane capitano, che non è più giovane, incontro il capitano Gilas, da cui tutto era cominciato, al quale dice di non sentirsi stanco dopo i venti giorni tremendi passati, ma vecchio. Al che il capitano Gilas risponde: «Ma tu sembri più vecchio, infatti». Aveva passato la linea d’ombra, il capitano non più giovane.  

Shadow line, La linea d’ombra, è stato fin dall’inizio da sempre considerato dalla critica un tipico Bildungsroman, appartenente cioè al genere letterario dei romanzi di formazione, la cui trama si organizza intorno alla descrizione del cammino nella vita del protagonista, o della protagonista, dall’infanzia o dall’adolescenza fino alla maturità dell’adulto. Nel caso del marinaio di Conrad, il passaggio dalla noia, indifferenza, infingardaggine, assenza di scopi e di ideali, alla maturazione del rispetto per gli altri, di dedizione al dovere, di camerateria fiduciosa, di responsabilità per la nave e la sua ciurma. Se accettiamo questo punto di vista, dobbiamo fare rientrare il romanzo nel genere psicologico e verista. Un po’ sul modello di Stendhal  di Le rouge et le noir, o di Charles Dickens nel David Copperfield, o di Alberto Moravia con Agostino, o anche dei Promessi sposi di Manzoni, o, naturalmente, del prototipo di Goethe, Wilhelm Meisters Lehrjahre, Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister.  

Dal punto di vista in cui lo abbiamo letto e proposto, Shadow line, La linea d’ombra, ci è sembrato invece decisamente appartenere al genere letterario del romanzo fantastico, soprannaturale. Un giovane capitano porta fuori dal porto la nave vittima di una maledizione lanciata dal vecchio capitano morto buttato fuori bordo quando la nave era ancora in crociera. La maledizione del fantasma del capitano prende le forme molteplici della bonaccia, delle febbri, della pestilenza tra i marinai. Tra i critici che hanno ragionato sul libro, alcuni hanno parlato di tematiche del soprannaturale[1]. Ma Conrad ha respinto queste critiche, con disprezzo, asserendo che la sua opera apparteneva al filone del naturalismo, quindi del verismo, e che il mondo era di per sé talmente meraviglioso senza che ci fosse bisogno di scomodare il soprannaturale per meravigliare il lettore. Avrà avuto le sue buone ragioni per reagire in questo modo, Joseph Conrad. Ma nella contrapposizione tra naturalismo o verismo, da una parte, e soprannaturale, dall’altra, ci sembra difficile accettare l’idea che la maledizione lanciata da un fantasma in fondo al mare che colpisce una nave, sotto forma di bonaccia meteorologica, e di pestilenza, non sposti la linea d’ombra della critica fino a inglobare il soprannaturale. Se poi si pensa che la citazione in apertura del libro è di Baudelaire[2], simbolista, decadentista, modernista, che non può certo venire arruolato tra i veristi, la nostra ipotesi che La linea d’ombra venga trattato legittimamente come un romanzo con una trama soprannaturale non fa una piega, anche se resta in sospeso la ragione per la quale Conrad con tanta determinazione, di cui aveva tutto il diritto evidentemente, abbia rifiutato questa appartenenza.   

 


 

 

[1] John G.Peters (2013) Joseph Conrad’s Critical Reception, Cambridge University Press, Cambridge; Dan Piepenbring (2014), Arts and Culture. Marvels and Mysteries, http://www.theparisreview.org/blog/2014/12/03/marvels-and-mysteries/ (intervista a Borges)

[2] D&\#39;autre fois, calme plat, grand miroir / De mon désespoir.




Versione stampabile

Torna