RECENSIONI


Il superoggetto Cthulhu, il Grande Vecchio, The Old Big One

Giampaolo Lai recensisce Il richiamo di Chtulhu, di H. P. Lovecraft, in: Lovecraft H. P. (1928), Il dominatore delle tenebre, Feltrinelli, Milano 2012. e 12,00, pp. 470.

n. 53 aprile 2015


Il superoggetto Cthulhu, il Grande Vecchio, The Old Big One

Giampaolo Lai

Khtulhu, il Grande Vecchio, the Old Big One, è un drammatico esempio di superoggetto, ibrido e bizzarro. Generato dalle stelle e stato poi precipitato, nel corso di sommovimenti cosmici estesi in tempi indefiniti, di millenni, di eoni, dentro la terra e nelle profondità dei mari. Appare, a prima vista, come una enorme massa uniforme, lattiginosa a volte, verdastra altre volte, molliccia e viscida, una montagna che si muove goffamente inciampando. Poi, guardando più a lungo e più da vicino, si presenta nelle fattezze ibride di un gigante alto più di dieci metri, con la testa di un polipo enorme avvolta da una criniera attorcigliata di tentacoli alla cui estremità si aprono bocche con pochi denti, due occhi fosforescenti, il corpo di drago con le scaglie, due ali rattrappite contro il dorso, una coda attorcigliata. Pronuncia parole o suoni a metà tra l’essere umano e gli animali, con richiami al vento e alle onde del mare. Ha seguaci adoranti in varie zone del mondo, dal Missisipi alla Groenlandia, che praticano riti infernali con sacrifici umani. Emerge dalle profondità ogni volta che le stelle si trovano allineate in una certa maniera. È il personaggio dominante del romanzo di H.P Lovencraft Il richiamo di Cthulhu, The call of Cthulhu, pubblicato nel 1928, nel quale si narra la storia complessa e incredibile di un nipote che viene in possesso, suo malgrado, dell’eredità di uno zio morto in circostanze misteriose, dopo essere stato urtato da ‘un negro’, così scrive l’autore, un marinaio di colore mentre camminava per una strada stretta in salita. Tra i beni dello zio, il nipote spaventato trova ritagli di giornale e un bassorilievo di una ventina di centimetri di lunghezza e altrettanti di altezza, che rappresenta una figura abominevole tra l’uomo e la bestia, come un drago e una medusa, con ali bizzarre. Questa scultura è stata fatta recentemente da un giovane che ha visto in sogno una città ciclopica con blocchi di mura titaniche che toccavano il cielo, e un idolo, appunto, tradotto nella statuetta. Un ispettore di polizia era venuto a conoscenza, venti anni prima, di una statuetta simile, anzi, al confronto sovrapponibile, durante una spedizione in zone paludose tra gli abitanti che adoravano un idolo, mentre praticavano orge sconvolgenti, dove non mancavano i sacrifici cruenti di prigionieri. La statuetta, piuttosto, l’idolo, rappresentava il Grande Vecchio, Cthulhu, the Old Big One, il superoggetto ibrido. Venuto a conoscenza di un marinaio che in Cthulhu si era scontrato, il nipote era andato alla sua ricerca nei paesi del nord. Ma qui era arrivato tropo tardi. Il marinaio era già morto. Aveva però lasciato delle note della sua avventura, in cui raccontava che la nave su cui viaggiava era stata sbattuta dalle tempeste su un’isola non segnalata dalle mappe, nella quale era stato inseguito da Chtulhu, novello Polifemo, il quale però, diversamente da Polifemo, entra nelle acque del mare dietro la nave. Guardando il mostro che avanzava, i marinai superstiti impazziscono di terrore. Pensando di non potere sfuggire alle bracciate dell’inseguitore supernaturale, il capitano fa compiere alla imbarcazione un giro di 180°, e a tutta velocità la dirige contro la creatura abominevole. Dallo scontro, si alzano onde fino al cielo, e il mostro si disgiunge come una nuvola, o come un impasto gelatinoso cambia del tutto il proprio aspetto. Ma quando la nave riesce a prendere il largo, Chtulhu si ricostituisce nella sua forma originaria, come una imperitura minaccia cosmica, che continua a incombere sulla terra e sull’intera struttura del cosmo. Fino ai nostri giorni, e per sempre.

Il termine di superoggetto è stato inventato dall’eco-filosofo Timothy Morton, nel suo recente libro del 2013, Hyperobjects: Philosophy and Ecology after the End of the World, (Minneapolis.) Nella sua concezione, gli iperoggetti sono eventi o luoghi o individui troppo complessi, con troppe connessioni lungo il tempo e attraverso lo spazio, da poter essere colti dalla mente umana. Per esempio, i buchi neri sono iperoggetti. Il materiale nucleare è un iperoggetto. Il global warming e le estinzioni in massa delle specie sono iperoggetti. Un iperoggetto è Internet. Nel libro di Jeff VanderMeer  del 2014 Authority, un iperoggetto è il potere della burocrazia. Un superoggetto è la Borda nel folclore romagnolo (vedi Giampaolo Lai, 2015, ‘La borda. Oggetto del terrore superoggetto dell’orrore’ in European Journal of Psychoanalysis, I.S.A.P., accessibile su Google.)

In letteratura, un iperoggetto in Kafka è il racconto La metamorfosi. Leopardi ne L’infinito coglie l’iperoggetto cosmico. In Steven King, un iperoggetto è la foresta in cui si perde la bambina nel racconto The Girl who Loved Tom Gordon. “Il mondo aveva i denti e poteva morderti a ogni momento.” Lo scrittore americano Jeff VanderMeer, considerato un po’ il re della weird fiction, le storie dell’orrore, ha scritto nel 2009 Finch, dal nome del poliziotto che conduce le sue investigazioni in una città dominata dai  Cappelli Grigi che sono dei funghi enormi, che impongono la loro presenza con il terrore e con sofisticate tecnologie basate sull&\#39;uso delle spore come armi biochimiche.

Due testi importanti per chi si interessa delle storie di orrore e fantastiche sono:

Tzvetlan Todorov (1975), The Fantastic, Ithaca: Cornell University Press;  Noel Carrol, 1990, The Philosophy of Horror, London: Routledge. E naturalmente la raccolta di H. T. Lovencfraft Il dominatore delle tenebre, Feltrinelli, Milano, 2012, dove si trova anche il racconto Il richiamo di Cthulhu.




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