RECENSIONI


Controparti o doppie vite?

Giampaolo Lai recensisce The Ghost at the Rath, by Rosa Mulholland (1841-1921). In : Irish Ghost Stories. A cura di David Stuart Davies, Londra, Collector’s Library, 2010, pp. 556-582, £ 8,99.


Controparti o doppie vite?

Giampaolo Lai

 

John Thunder, capitano di un qualche reggimento in giro per il mondo, viene a sapere di avere ereditato una casa e un parco, nei pressi di Dublino, dove era nato. Quando arriva per prendere possesso delle sue terre, incontra un vecchio amico di scuola, Frank O’Brien, il cui lavoro fallimentare di avvocato non aveva portato al successo, rovinandogli invece la salute e lasciandogli una mente inacidita.  Frequentava da alcuni anni una ragazza, Mary Leonard, attiva, ottimista e devota, che però non si decideva a sposare. D’impulso, il capitano Thunder invita Frank O’Brien a lasciare il suo lavoro non redditizio e andare a esplorare la tenuta, dove il capitano l’avrebbe raggiunto una volta sbrigati alcuni impegni che si era assunto. Dopo tre settimane dall’incontro, Frank non solo non dà segno spontaneamente di sé, ma nemmeno risponde alle lettere di John. Il capitano allora decide di andare a vedere che cosa sta succedendo. Prende il treno, e, una volta giunto nella città di D., come racconta in prima persona: «mi misi lo zaino in spalla e cominciai a camminare nel cuore di un gradevole campagna boscosa. Seguendo le indicazioni ricevute, presi una strada solitaria, nella quale non incontrai un’anima, e che sembrava tagliata nel cuore della foresta, così vicini erano gli alberi da entrambi i lati e così denso il crepuscolo creato dall’incontro e dall’intreccio dei rami spessi sopra la testa. In mezzo a tante ombre, arrivai a un grande cancello, con sottili, alti pilastri di mattoni, coperti di lunghe erbe, macchiati da croste melanconiche di muschio strisciante. Tirai un campanello malandato e un vecchio uomo uscì dalla boscaglia circostante, restò un momento a guardarmi, poi mi lasciò entrare aprendo il cancello con una chiave arrugginita».

Fin dalle prime pagine, Rosa Mulholland ammucchia gli ingredienti indispensabili per una storia gotica, di fantasmi: luoghi deserti lontani dalle città, lunghe strade dove non passa anima viva, boschi impenetrabili, crepuscoli che tendono alle tenebre, dimore abbandonate in rovina, chiavi arrugginite, custodi vecchi e silenziosi.

«Trovai il mio amico Frank che andava su e giù per i vialetti di un frutteto trascurato, con i rami che pendevano sopra la sua testa e mele mature o marce sotto i suoi piedi. Teneva le mani dietro la schiena, e la testa piegata da un lato, come se ascoltasse il canto di un uccello. Non l’avevo mai visto così sereno. E tuttavia dal suo intero comportamento si sprigionava una tale vacuità che mi preoccupava. Non sembrava sorpreso di vedermi, e mi chiese se veramente non mi avesse scritto; pensava di averlo fatto; era così contento di avere dimenticato ogni cosa. Pensava di essere arrivato da tre giorni. Non riusciva a immaginare come il tempo fosse passato. Parlava in modo incoerente. In un’altra occasione avrei pensato che fosse matto.»

Nella descrizione di Frank, Rosa Mulholland introduce un altro ingrediente del romanzo di fantasmi: la persona sonnambula (da somnuns ‘sonno’ e ambulare ‘camminare’), colei che cammina dormendo, che camminando sogna, il dreaming while awake, il waking dreamer, l’allucinato, introdotti specialmente nella letteratura riduzionista che riduce il fenomeno dei fantasmi a produzione della mente patologica. Vedi Andrew Lang, 1897, The Book of Dreams and Ghosts, London, Longman, Green, and Co. Attualmente disponibile su Google project Gutenberg.)

A tavola per cena, prosegue il capitano Thunder:  «Mi sentii come se facessi fatica a respirare. Non riuscii a mangiare con il mio solito appetito. L’aria della sala era pesante e guasta. Mi sentivo male e incapace di stare fermo. Il vino aveva un cattivo gusto, come se fosse stato drogato. Avevo la strana sensazione di essere stato un’altra volta in quella casa, e che qualcosa di male mi fosse accaduto proprio lì dentro». Quanto all’amico Frank: «C’era in lui una specie di contentezza sonnolenta. Sembrava non avesse alcun pensiero se non di rimanere sospeso nelle delizie della casa che certamente gli aveva gettato addosso un sortilegio».

Ancora vediamo gli ingredienti di sensazioni strane, come di essere drogato, la rappresentazione di questa vita e di questo tempo raddoppiati da un’altra vita analoga e di un altro tempo sovra-impresso, con accadimenti possibilmente accaduti prima a nostra insaputa, con la certezza però che erano saturi di male, immersi in sortilegi.

Quanto il capitano Thunder si mette a letto non riesce a prendere sonno. Il vento brontolava dentro il camino. I rami fuori nel giardino frusciavano con rumori inquietanti. «In mezzo a questi rumori, mi sembrava di udire dei suoni che provenivano dalle stanze lontane della vecchia casa, dove tutto avrebbe dovuto essere immobile e silenzioso come i morti dentro le loro tombe. A volte mi pareva di sentire dei passi intorno, a volte avrei giurato di sentire che qualcuno bussava alla porta o alla parete, e dalla porta della grande sala provenivano dei tremendi tantararas. Poi sentivo delle stoviglie che sbattevano, l’eco di voci che si chiamavano, rumori di mobili trascinati.»

Assistiamo a un crescendo nella messa in scena del romanzo gotico: rumori nella notte di cui non si indovina l’origine, passi che rompono il silenzio immobile, qualcuno che bussa alle pareti, che sbatte le stoviglie, che trascina i mobili. Ce n’è abbastanza per preparare l’arrivo del fantasma, dello spettro.  

«Quando provai a alzarmi dal letto per rendermi conto di tutti questi rumori, improvvisamente la porta della stanza si aprì, una vivida luce si irradiò attraverso l’apertura, e un inserviente, in una elaborata livrea dei tempi andati, si mostrò, tenendo con una mano il battente della porta socchiuso e inchinandosi profondamente mi disse: ‘Sua Signoria, la mia padrona, desidera la sua presenza nel salotto, signore’. L’annuncio fu fatto nel tono misurato di un domestico bene addestrato. Il quale, dopo un altro inchino, si ritirò, chiuse la porta, e io mi trovai nel buio a chiedermi se non fossi stato improvvisamente risvegliato da un sogno meraviglioso … Mi alzai … Aprii la porta … Arrivato nella hall, la trovai splendente di luci e avvolta di profumi. Piante bellissime, piene di fiori, facevano pensare a un giardino. Sui mosaici del pavimento si stendevano preziosi tappeti … Poi la porta si aprì, si vide all’esterno una fiamma di lanterne, e una splendida signora salì le scale e entrò nella hall. Quando sollevò leggermente il suo abito argentato, potei vedere i diamanti che brillavano sui suoi piedi. Il suo petto era coperto di rose, e c’era una luce rossa nei suoi occhi come il riflesso di cento fuochi lucenti. … Poi la porta della biblioteca si aprì e entrò un signore con una ragazza al braccio. Era un bell’uomo di mezza età, con un contegno fiero e severo. La ragazza era una  creatura sottile e attraente, con biondi capelli e un viso molto pallido. … Poi cominciarono le danze, minuetti e balli campestri.»

La presentazione della bellissima donna, che appare al capitano Thunder quando è mezzo addormentato, e tuttavia in movimento, ovvero in uno stato sonnambolico, fa parte delle allucinazioni o delle fantasmagorie del dreaming while awake, del waking dreamer. Ne hanno scritto in molti, tra cui Andrew Lang, sopra citato, il quale insiste nel dire che i fantasmi non sono altro che sogni fatti da persone sveglie che si muovono in uno stato di semisonnolenza. Sempre Lang, in un altro lavoro del 1894: Cock Lane and Common Sense, 1894, mentre da una parte indulge nel raccontare storie di allucinazioni collettive o di sogni collettivi fatti da persone sveglie, dall’altra, riducendo i fenomeni descritti a prodotti di suggestioni, o di telegrafia mentale o di telepatia, rientra nel mainstream ottocentesco di psicologizzazione delle apparizioni dei fantasmi sotto osservazione, con lo scopo dichiarato di limitare al minimo i fenomeni meravigliosi.    

Continua il capitano Thunder: «Non posso descrivere il modo strano nel quale io ero in quella compagnia pur essendone fuori. Mi sembrava di vedere tutto attraverso un qualche medium sottile. Vedevo chiaramente, e tuttavia sentivo che ciò che mi accadeva non passava attraverso i miei sensi ordinari. Posso fare il paragone con una scena vista attraverso un frammento di vetro affumicato o colorato. E alla stessa maniera tutti i suoni sembravano raggiungermi come se stessi ascoltando con orecchie ostruite».

Anche questo passaggio rientra nella linea della patologizzazione delle esperienze di vedere fantasmi, visione che sarebbe dovuta a malattie dei sensi periferici, come quando si dorme, quando si beve alcool, quando si usano droghe. Nella prima metà del novecento, l’uso di LSD e di mescalina (come può testimonia chi scrive avendo allora a Losanna utilizzata la mescalina per se stesso e per alcuni suoi pazienti) producevano dispercezioni, alterazioni delle sensazioni periferiche, sulle quali potevano costruirsi allucinazioni, ovvero visioni di fantasmi.   

«Nessuno sembrava accorgersi della ragazza dai capelli d’oro che stava silenziosa in un angolo piangendo; nessuno tranne la bella donna con il vestito d’argento che di tanto in tanto le lanciava sguardi di disprezzo … Poi per un po’ non vidi traccia della ragazza dai capelli d’oro ... Alla fine la vidi sorridere da una porta e farmi cenno … La seguii … Il suo biondo capo luccicava sopra qualcosa che mi accorsi essere una culla … Le sue bianche mani scostarono le tendine e sollevarono le coperte. Allora, improvvisamente, un gemito irruppe nella stanza, come un soffio di vento che forzava il suo passaggio attraverso le fessure e scuoteva le vecchie finestre nelle loro intelaiature rumorosamente. La culla era vuota. La ragazza cadde all’indietro, con un’espressione di orrore sul suo volto pallido che non dimenticherò mai, e mettendo le braccia sopra la testa si precipitò fuori dalla stanza ... Una finestra era aperta, e vicino stava la ragazza dai capelli d’oro, singhiozzando, mentre la splendida signora dal vestito d’argento china su di lei sembrava confortarla, mentre le offriva qualcosa da bere in una coppa … La ragazza sollevò il capo e bevve, poi improvvisamente gettò via la coppa, mentre un grido che non udii mai più nella mia vita, e ancora rabbrividisco a ricordare, si alzò fino al soffitto della vecchia casa, e la chiara, tagliente parola Avvelenata risuonò, riverberandosi di stanza in stanza in mille echi, come lo schianto dei rintocchi delle campane. La ragazza si lanciò dalla finestra aperta, con un grido che fu portato dall’eco dietro di lei ... Vidi la bianca figura volare davanti a me con una velocità tale che non riuscii a starle dietro pur inseguendola come un matto, finché non caddi esausto. Allora udii il gufo gracidare sopra di me. La luna si alzava pesante e lucente. Anche gli alberi si ergevano davanti a lei come una lunga spada sguainata alla ricerca di morte tra i cespugli. La bionda figura luccicava e svaniva, brillava davanti a me, spendeva e di nuovo svaniva, fino a cadere e sparire nel fiume. Di ciò che fosse, fantasma o realtà, non mi interrogai sul momento. Aveva le sembianze di un essere umane che precipitava verso la distruzione mentre io seguivo il frenetico impulso di salvarlo.»

Abbiamo qui un esempio impressionante della fantasmagoria, fenomeno di cui hanno dato prova, sempre in una prospettiva riduzionista, naturalistica, anche Christoph Friedrich Nicolai e Friedrich Schiller, il primo in un saggio, il secondo in un romanzo, che abbiamo presentato in un’altra recensione [«Due opere sui fantasmi», in questo numero].

 Il romanzo di Rosa Mulholland (forse non è senza collegamenti con lo spirito visionario del suo stile il fatto che la scrittrice avesse iniziato le sue produzioni artistiche nella pittura, dalla quale l’aveva distolta Charles Dickens, convincendola a dedicarsi alla letteratura) continua poi con la scoperta di bare di marmo, con il ritorno di spiriti di antenati, che dalle bare escono per scrivere lettere di confessioni, con visioni che preparano l’apparizione della fanciulla che sarà l’erede designata del parco e della vecchia dimora, di testamenti nascosti e ritrovati sotto il tredicesimo albero del fiume. Il tutto termina con un happy end inatteso e non frequente nelle storie gotiche.  Per gustare la lettura dei romanzi gotici, e delle vicende gotiche, nell’ottocento si raccomandava al lettore o allo spettatore di fatti la voluntary suspension of disbelief, ovvero la sospensione del giudizio quanto alla verosimiglianza dei fatti osservati o narrati. Il termine fu coniato da Samuel Taylor Coleridge, nel capitolo XIV della sua Biographia literaria[1], del 1817. Nel secolo successivo, con Tzvetan Todorov, nel suo volume Introduction à la littérature fantastique, 1070, Paris, Editions du Seuil, suggerisce piuttosto la indecisione tra ciò che è naturale e ciò che appare soprannaturale, accettando di credere e di non credere che una persona o una situazione appartiene al mondo attuale piuttosto che non a un mondo possibile sovrannaturale.

Nella chiusa del suo racconto gotico, Rosa Mulholland ci lascia una frase per noi importante. “Più guardavo il bel volto luminoso della fanciulla, dice il capitano Thunder, più mi convincevo che era la controparte vivente (the living counterpart)  della visione che avevo avuto nella camera mortuaria.” I viventi sono la controparte dei morti. Le visioni sono la controparte delle creature concrete. Gli abitanti di questo mondo sono controparti di mondi possibili adiacenti. Ciascuno è una controparte di un altro. Identico e disidentico rispetto a altri e a se stesso.




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