RECENSIONI


Estroflessione letteraria

Pierrette Lavanchy recensisce Ghostman, di Roger Hobbs, Vintage Crime /Black Lizard, New York, 2013, pp. 374, € 18,70; trad. it. di Alfredo Colitto, L’Ombra, Einaudi, Torino 2013, pp. 342, € 19,00.

 


Recensendo il trittico dei film The great Gatsby, La grande bellezza, The Wolf of Wall Street, mi era sembrato di trovare in tutte e tre le produzioni elementi formali che annunciassero l’esaurimento della grande onda che manda messaggi da dentro, dall’interno, dall’anima, nelle grandiose costruzioni del flusso di coscienza, dell’intimismo autobiografico, fin dai nascondigli più impervi dell’inconscio, nella tradizione che va da sant’Agostino a Cartesio, da Michel de Montaigne a James Joyce, da Jane Austin a Sigmund Freud. Con ogni riga all’insegna del noli foras ire, in te ipsum redi. In interiore homine habitat veritas. Non è che i tre film ci dicano dove mai abiti la verità, forse nemmeno è un problema per i loro registi la verità, ma ci dicono, anzi, ci gridano, che si deve andare fuori, in tutti i modi, a occupare il mondo di fuori, estroflettendo ogni residuo di interiorità. Il mondo esterno è poi fatto di un’orgia sensoriale di musica che assorda, the high energy music, di luci che accecano, di movimenti frenetici che stordiscono. Ma poi però è come se tutti gli stimoli sensoriali si fermassero all’interfaccia delle barriere naturali che li riflettono, come superfici opache, ancora fuori. Esaurita l’ondata delle voci di dentro è annunciata l’ondata delle voci di fuori. Ebbene, un annuncio simile a quello dei tre film, del fatto cioè che non è più di moda tornare dentro ma andare fuori, e starci, l’ho trovato nel romanzo intitolato Ghostman, di Roger Hobbs, un giovanotto di Portland, Oregon, sulla Costa del Pacifico, che ha ventiquattro anni, ma aveva ventidue anni quando ha scritto questa sua opera prima. La casa editrice che ha pubblicato il libro nel 2013 è Vintage Crime /Black Lizard, una divisione della Random House, di New York, la Casa editrice di Raymond Carver e di Cormac McCarthy. Il libro è stato tradotto da Alfredo Colitto con il titolo L’ombra per l’editore Einaudi sempre nel 2013.

Il titolo originale del libro, Ghostman, rinvia al modello più noto, Ghost writer, colui che scrive i discorsi del Presidente o magari un libro per un politico: uno scrittore che rimane nell’ombra, che nessuno conosce. Nell’ambiente della malavita, il ghost man, come l’ombra in cui è stato opportunamente tradotto in italiano, non è o non dovrebbe essere conosciuto da nessuno. È un’entità che non ha identità. Certo, ha un nome, Jack. Ma è uno dei tanti nomi che appaiono sulle sue numerose carte di identità. Tuttavia è un terminale per gli ambienti del crimine, al quale i boss si rivolgono per chiedergli di intervenire a ripulire crimini, come l’assalto a una banca, che sono andati storti. Comunque Jack è addestrato a sfuggire a ogni individuazione, tanto che si è fatto abbrustolire i polpastrelli per rendere impossibili le rilevazioni delle impronte digitali. Vive solo. Mangia solo. Non ha una ragazza. Risponde ai contatti unicamente delle persone che conosce. Quando gli arriva una chiamata di qualcuno che non conosce, butta il cellulare, uno dei tanti che ha sempre a disposizione, nel forno a microonde, fa la valigia, anzi chiude la valigia che ha sempre pronta, e va in un’altra città o in un’altra nazione dove ricomincia da capo.

Questa volta, l’uomo che ha organizzato il colpo, una rapina a mano armata a un casinò di Atlantic City, si chiama Marcus. I due malviventi che si preparano a eseguire il colpo sono Hector Moreno e Jerome Ribbons. Una volta che le cose sono andate male, e uno dei due criminali ci ha lasciato le penne, assieme a tre o quattro guardie e poliziotti assassinati, a Marcus non rimane che chiamare Jack, affinché ci provi a ripulire il più possibile, magari interamente, la scena di ciò che è accaduto, e soprattutto a recuperare il bottino. Quanto a me, resterò fedele alla regola di non svelare l’intreccio del giallo criminale. Mi limiterò a dire alcune cose sul modo in cui la vicenda viene descritta. Nella modalità di descrizione di Roger Hobbs troveremo le caratteristiche che ho indicato nei tre film costruiti con la tecnica, diciamo così, della estroflessione.

Come quasi sempre, l’inizio ci dice come continuerà, secondo la regola dei primi cinque minuti. Il primo capitolo inizia dunque così, con due frasi, una lunga e una brevissima. «Hector Moreno e Jerome Ribbons erano seduti in macchina al pianterreno del parcheggio dell’Hotel Casino Atlantic Regency. Tiravano cristalli di amfetamina servendosi di una banconota da cinque arrotolata, un accendino e un pezzo di pellicola di alluminio. Avevano trenta minuti.» Leggendo, non ho avuto il tempo di immedesimarmi nelle due persone sedute in macchina, di vederli da dentro, di immaginare la loro paura, i loro dubbi. Perché il seguito del racconto mi ha portato altrove. E come? L’autore infatti così prosegue: «Ci sono tre modi di rapinare un casinò». E passa a descrivere questi modi, in tutti i dettagli, con le valutazioni del pro e del contro, per tre pagine. Intanto nella prospettiva del lettore, i due gangster sono rimasti lì nella loro auto, senza pensieri, senza emozioni, a succhiare la loro droga. Il lettore li vede dall’esterno, vede il loro esterno. Dopo le descrizioni tecniche dettagliate sui tre modi di derubare un casinò, ecco come l’autore riprende: «Jerome Ribbons guardò il suo Rolex d’oro. Erano le cinque e mezzo del mattino. Alla prima consegna mancava mezz’ora». E di nuovo l’autore si sposta a descrivere il tempo che ha preso a Jerome e a Hector monitorare il susseguirsi dei trasferimenti, poi a descrivere l’aspetto fisico dei due delinquenti, la loro carriera, e soprattutto, ogni volta a capo di riga, la scansione del tempo. «Mancavano due minuti alle sei del mattino. Il conto alla rovescia era iniziato.» Ribbons chiede a Moreno: «Sei pronto?». «Sono pronto», risponde Moreno. Novanta secondi prima dell’arrivo supposto del furgone blindato. Sessanta secondi. Trenta secondi. Dieci secondi. «Era il momento. Ribbons diede il segnale.» E poi la sparatoria, conclusa con tre guardie uccise, con Moreno pure colpito a morte, e Ribbons ferito alla spalla in fuga sul furgone con dentro i soldi rapinati, oltre un milione di dollari. «Erano passati due minuti dalle sei in quella maledetta mattina, e la polizia aveva già svegliato i suoi detective. Ci vollero altre due ore prima che qualcuno svegliasse me.» Il “me” è naturalmente Jack. Il ghostman, l’ombra, al quale, alla quale, il lettore ha già avuto l’imbeccata per intuirlo, si rivolgerà il boss Marcus per tentare di far fronte alla rapina finita in un disastro. Ecco come l’autore descrive il risveglio di Jack. «Il trillo acuto di un’e-mail in arrivo mi risuonò come una campana nella testa. Mi svegliai di colpo e immediatamente allungai una mano verso la mia pistola. Feci alcuni respiri ansimanti mentre gli occhi si adattavano alla luce del monitor di sorveglianza. Guardai verso il davanzale dove avevo poggiato l’orologio. Il cielo era ancora nero come  l’inchiostro. Presi la pistola da sotto il cuscino e la misi sul comodino. Breathe. Respira.»  

La rapina in banca, progettata secondo un rigido protocollo geometrico, s’inceppa scontrandosi con un imprevisto e si trasforma in un caos, dove i colpi di pallottole impazzano, il sangue si vaporizza in una nebbia rosa, frammenti di ossa e di cervello s’impastano con la polvere dei muri scalfiti dalle pallottole, l’urlo delle sirene si mescola allo stridore delle gomme e alle scintille delle fiancate delle auto urtate. Tutto questo viene evocato con una terminologia oggettiva, dove gli eventi scatenati da cause meccaniche superano le azioni imputabili ad agenti umani. Certo i protagonisti sparano, ma più spesso sono le pallottole ad arrivare, colpire, bucare un parabrezza, infrangersi contro la placca di ceramica di un giubbotto antiproiettili.

L’autore preferisce un vocabolario concreto, un registro sensoriale, una descrizione per immagini, al registro concettuale astratto – un aspetto che diventa molto manifesto se si confronta il testo originale alla traduzione italiana, senz’altro buona ma più riflessiva, più intrisa di elaborazione mentale, meno cinematografica. Un esempio per tutti è la frase One second he was getting into their car, and the next he heard the gunshot and saw Moreno hit (letteralmente: «L’istante prima entrava nella macchina, l’istante dopo sentì lo sparo e vide Moreno colpito»), in cui il tempo viene spezzettato in eventi puntiformi successivi, come fotogrammi discreti, mentre la traduzione italiana rende il concetto tipicamente umano della durata: «Stava salendo in macchina [intervallo durativo], a un tratto [evento puntiforme] udì lo sparo; Moreno era stato colpito». Sempre nel registro concreto l’autore si sforza di evitare le metafore antropiche e rimanere al livello della percezione pura. Così scrive: He raised his Kalashnikov and sprayed lead blindly in the direction of the sound, dove sprayed, “spruzzò”, evoca un aggeggio meccanico e sound, “suono”, denota una vibrazione aspecifica. Nella traduzione, «Sollevò il Kalashnikov e sputò piombo in direzione dello sparo», sprayed diventa “sputò”, metafora fisiologica, e sound diventa “sparo”, elaborazione interpretativa della percezione. Occorre dire che altre volte è l’autore a scegliere la metafora, come quando scrive: He pissed bullets, «cominciava a pisciare proiettili». Forse si tratta di una svista, perché è difficile rendere la meccanizzazione, la depsicologizzazione, la robotizzazione, o forse queste figure servono anche a evocare la confusione caotica tra l’umano e l’inanimato. Comunque l’autore fa del suo meglio per rimanere all’esterno, e quando vuole lasciare intuire la tensione o l’angoscia dei personaggi, usa il registro somatico dei fenomeni osservabili: «Feci alcuni respiri ansimanti mentre gli occhi si adattavano alla luce del monitor di sorveglianza», senza mai scivolare nella terminologia psicologica. Lo stesso vale per la terminologia mentale. Nella scrittura di Hobbs, il pensiero è esplicitamente divorziato dall’azione. Quando c’è l’azione, il pensiero si ferma («Ribbons non ebbe tempo di pensare»), e quando c’è il pensiero, come abbiamo visto, l’autore abbandona i suoi personaggi in piena azione per dissertare sulle modalità delle rapine. Questo procedimento ricorda l’intervento della voce fuori campo che troviamo nei film recensiti (soprattutto ne Il grande Gatsby e ne La grande bellezza), a interrompere l’azione per far capire le vicende del mondo o dei personaggi, sempre comunque dal di fuori.

Lo stile del libro evoca, all’interno del genere noir al quale appartiene, gli scritti di Dashiell Hammett e Raymond Chandler, anche se i loro personaggi, rispettivamente Sam Spade e Philip Marlowe, hanno uno spessore umano che li rende malinconici e a volte compassionevoli. Ma questi sono detective, come pure sono detective, nel registro logico deduttivo Sherlock Holmes, e nel registro umano meditativo Jules Maigret. Mentre Jack è un criminale, e questa scelta dell’autore, che elegge a protagonista un delinquente piuttosto che un poliziotto, è un elemento significativo di originalità del libro. Jack è un bandito, hard-boiled, duro, tecnico e super-competente, con una conoscenza enciclopedica della sua materia. L’uso di descrizioni particolareggiate e specialistiche ci indurrebbe pertanto a inserire Roger Hobbs nel filone dei minimalisti americani come James MacInerney (Bright lights, big city), Bret Easton Ellis (Less than Zero e American Psycho), con l’ossessione orgiastica dei dettagli che imbrigliano o assorbono ogni possibile emergenza dell’Io. Ma prima ancora, e a livello più globale, possiamo far rientrare Ghostman nell’ambito del naturalismo, quello verista di Émile Zola o del grande Giovanni Verga, in particolare ne I Malavoglia, e più tardi della corrente del nouveau roman di Michel Butor, con in particolare il romanzo La modification, dove il mondo materiale invade la coscienza e s’impone imperativamente. Che sia, questa nuova onda dell’estroflessione di cui è portavoce Roger Hobbs, assieme ai registi dei film Il grande Gatsby, La grande bellezza, Il lupo di Wall Street, destinata a soppiantare per lungo tempo l’onda intimista, psicologica, che ha dominato il XX secolo?




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