RECENSIONI


Segreto e tabù sconfitti dall’innocenza

Azalen Tomaselli recensisce Abelis, di Mauro Leonardi, Edizione Lindau , pp. 162, € 14.00


«Per essere amici bisogna raccontarsi i segreti.»
Abelis, sottratto alla madre e condotto in un castello per ordine del Ciambellano, non sa che l’uomo al quale è stato affidato è suo padre. Tra il fanciullo e l’infelice cavaliere nasce e si evolve un rapporto suggellato da un terribile segreto che accomuna tutti gli abitanti di Arileva. Il segreto, fin dalle prime battute, costituisce così il fil rouge che lega le storie dei vari personaggi oltre a rappresentare quella barriera che i protagonisti dovranno riconoscere e superare.
Mi chiedo se scegliere il tema del segreto, tra i tanti possibili, non possa apparire fuorviante. Ma mi conforta un elemento biografico fornito dallo stesso Mauro Leonardi che racconta di avere concepito l’idea di Abelis, in una notte d’estate del 2002, quando un amico lo mise a parte di un suo segreto molto doloroso. Questo elemento ai margini e le ragioni più “oggettive” che cercherò di esporre conducono a intravedere proprio nel segreto, nel suo significato etimologico di secretum: nascosto, uno dei fili invisibili della storia.
A una lettura trasversale è infatti proprio questo l’elemento di raccordo dei motivi narrativi di Abelis, romanzo appartenente al genere fantasy, ma in cui metafisica e notazione acuta della realtà si intrecciano continuamente. È prima di tutto il grande segreto sulla vera natura dei draghi a spingere gli abitanti di Arileva a farsi scudo dei cavalieri, è il segreto (o l’oblio perché «non c’è un prima») a privare Blennenort del coraggio di lottare esponendolo al disprezzo dei compagni. È ancora il segreto su sé stessi a materializzarsi nella corazza che diventa la “seconda pelle” dei cavalieri.
Ma se il segreto sbarra, in chi è volutamente tenuto all’oscuro, la presenza della verità e dell’ethos, dà a chi lo mantiene il potere di creare una realtà illusoria e di conservare un mondo separato, chiuso e prigioniero di sé stesso. È quanto Mauro Leonardi immagina accada a Arileva: segreti, paure e oblio sono indispensabili per fabbricare l’uomo – macchina da guerra che deve distruggere i mostri. La paura che attanaglia la piccola comunità distrugge l’amore e fa dimenticare la paternità. In un mondo pervaso dalla guerra e dall’odio sembra che ogni altro valore umano: famiglia, amicizia, solidarietà, tolleranza, arretri fino a scomparire del tutto.
Forse oltre al segreto è un inconfessato tabù a governare il mondo di Arileva, spogliando i suoi abitanti della loro reale identità. Un tragico errore che proiettando all’esterno le paure, crea l’illusione di dominarle. Ricalcando l’espediente della “metamorfosi”, l’autore fa riflettere su come sia facile trasformare gli uomini in strumenti di morte e scambiare delle creature “diverse” in mostri rapaci e sanguinari. Solo l’innocenza di un fanciullo potrà fare emergere la verità e gettare le basi per un mondo più umano e ospitale. È lui che potrà «parlare di cose nascoste», ma solo con chi lo ascolta e, grazie alle sue parole, riuscirà a fare affiorare i sentimenti e le emozioni che la dura corazza reprimeva. Proprio nel graduale manifestarsi di un’amicizia tra Abelis e Blennenort, i due protagonisti del romanzo, si scopre che paternità e appartenenza non sono determinate da leggi biologiche e naturali, ma dalla capacità di riconoscersi. Lo stesso barlume di verità e di innocenza rende affini il cavaliere e il fanciullo, e fa in modo che le parole superino la barriera del metallo, che riveste l’uno, e del silenzio, che protegge l’altro dalla crudeltà di folli visionari. È difficile dire quanto l’autore nell’imbastire questa meravigliosa storia abbia voluto rappresentare la lotta tra bene e male, tra eros e thanatos, tra amore e odio, ma il romanzo sotto il genere fantasy getta luce su alcuni meccanismi che operando inconsapevolmente orientano scelte e azioni collettive anche nella società di oggi.
Abelis, al di là dei numerosi congegni narrativi che rendono avvincente la trama, mette il lettore a confronto con una inquietante verità: siamo dominati da ciò che non esiste e da ciò che l’Altro, indifferenziato / paranoico, ci induce a credere. Parafrasando le parole del protagonista, c’è una linea che non esiste e che si chiama la frontiera. In questa amara constatazione e nella risposta che ne scandaglia le ragioni è contenuta la chiave del romanzo. «Come fa una linea che non esiste a comandare tanto?» si chiede Blennenort. La supposta spiegazione è banale. È la semplificazione a dare tanta forza a una linea che non esiste, perché la frontiera non è altro che lo sforzo a portare fuori di noi una linea che esiste dentro di noi. «Attira tanto portare lontano dal nostro cuore la linea che separa il bene dal male», ignorando che bene e male coabitano dentro ogni uomo. Non esistono buoni e cattivi, sani e malati, non esistono i cittadini e i mostri. I cavalieri sono nati, ( e con loro aggiungeremmo le guerre, gli odi razziali, i conflitti che seminano odio) «quando un giorno un ciarlatano è andato in piazza e ha trovato in un determinato momento una determinata parola e un determinato tono per giungere al cuore della gente». Così il pensiero si è cristallizzato e le parole non sono state più scambiate, la realtà è diventata un confine sempre più ristretto contro cui urtare e combattere.
La crisi della coscienza ha a quel punto prodotto le società totalitarie, i nazifascismi, gli stragismi, le epurazioni ma permette anche oggi l’emarginazione e l’esclusione di quei soggetti che sono preventivamente indicati come pericolosi. Preferiamo non vedere l’ingiustizia e credere che l’odio non possa più erigere barriere per discriminare e distruggere coloro che sono percepiti difformi da noi.
 Pensare che i pregiudizi appartengano al passato è però, ancora una volta, usare la lente dell’autoinganno. È rovesciare il cannocchiale per allontanare in modo illusorio fenomeni e atteggiamenti che si riproducono ancora in mezzo a noi. La paura è una risorsa formidabile per catalizzare il consenso e aumentare il potere, sembra suggerirci il romanzo, e anche oggi, si avvale della logica amico-nemico, agitando lo spettro di contaminazioni e di invasioni, tracciando confini materiali e immateriali tra un dentro e un fuori.
 Nel 1972 Stanley Cohen aveva coniato l’espressione moral panic per designare il senso di diffuso allarme sociale sviluppatosi in Gran Bretagna, in riferimento alla presenza di alcune bande giovanili. Fenomeni simili si verificano nella nostra società civile e ci insegnano che la paura diffusa non dipende da una valutazione razionale della minaccia. È lo sbocco di inquietudini che trovano un centro drammatico e semplificato di sfogo in un unico incidente o in un bersaglio che può di volta in volta cambiare.
Abelis è un romanzo attuale perché mette a fuoco un fenomeno che oggi dilaga: la diffusione della paura collegata all’aumento del senso di insicurezza rispetto a pericoli reali o immaginari, e alla mancanza di fiducia nella possibilità di costruire una società aperta, di realizzare forme di convivenza con i “mostri” prodotti dal disagio e dalla miseria. Oggi la modernità globalizzata parla il linguaggio della paura che trova cassa di risonanza nei media, nelle cronache, nelle indagini e nelle ricerche di mercato, nelle informazioni scientifiche sullo stato di salute del nostro pianeta, nelle dicerie, a più livelli. Siamo dentro una mappa cognitiva e simbolica che orienta la visione della realtà fondata sulla paura. Tutte le angosce prima rimosse e segregate sono venute alla ribalta per concretizzarsi collettivamente attorno a questa esperienza affettiva che più di altre è in grado di segnalarci la perdita di certezze e la crisi .
Nel romanzo il bisogno di immunizzarsi dai draghi porta i cavalieri a rendere la pelle del corpo dura e impenetrabile come il metallo, a ridursi a scheletri protetti da un’armatura trasformandosi in grotteschi manichini che vivono per un solo scopo: distruggere. Se la paura costituisce la gabbia dentro la quale gli individui si chiudono, per sottrarsi al contagio del male, è l’amore a fare scoprire che male e bene sono in rapporto dialettico e non è dato separarli in modo assoluto. Centrale è in questo scontro la “parola-corpo”, unico e residuo segno di umanità e al tempo stesso strumento di dominio che permette di forgiare un’armatura unica e irripetibile. Abelis non è solo la raffigurazione di una coscienza collettiva offuscata, è soprattutto il romanzo sulla speranza e sull’amore che include l’altro, mostrando che il male e l’errore sono spesso il riflesso di noi stessi. Simbolo di questo modo di amare è il personaggio di Lutet, la donna che sa attendere e sacrificarsi, sa resistere alle difficoltà e ospitare nel suo cuore, non solo le persone che ama ma anche i “mostri” che tutti vorrebbero eliminare.
I tanti segreti e autoinganni che costellano la storia (anche il malvagio Ciambellano è vittima della trama di potere che ha intessuto), celano una verità: è impossibile per gli uomini vivere protetti nel recinto di sicurezze fasulle, escludendo dal proprio orizzonte tutto ciò che essendo estraneo appare minaccioso.
 Con una prosa limpida e incisiva Mauro Leonardi porta il lettore a misurarsi con la “cecità” dei personaggi del suo universo fantasy, e a seguire la faticosa conquista, da parte del protagonista Blennenort, dell’autocoscienza e della libertà. Offre a lettori piccoli e grandi, dietro lo schermo di una straordinaria avventura, la rappresentazione di come siamo e di come potremmo essere, invitandoci a uscire da troppo semplici stereotipi, da troppo semplici paradigmi di pensiero e di azione.




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