RECENSIONI


Dialoghi imperfetti. Per una comunicazione felice nella vita quotidiana e nel mondo Alzheimer, di Pietro Vigorelli

Franco Angeli, Milano 2021, pp. 161. La recensione è pubblicata nella rivista «Tecniche delle conversazioni», Anno VI , n.2- 2021, Aracne, Roma.


Con il libro La conversazione possibile con il malato Alzheimer (2004), Pietro Vigorelli ha avviato una fortunata serie di pubblicazioni dedicate allo studio dei dialoghi con pazienti affetti da demenza e alla formazione di operatori e familiari impegnati ad assisterli. Ora presenta questi Dialoghi imperfetti, che già nel titolo, più ampio e allusivo, si discosta dai precedenti. In questo lavoro l'Autore fa tesoro delle esperienze strettamente cliniche per lasciare aggregare intorno a esse, come cristalli di salgemma su uno spago, considerazioni sui rapporti umani che hanno tracce più lontane nella propria biografia e nella propria esperienza di vita, esplicitamente richiamate in più punti. Ma è meglio essere più precisi: non sui rapporti umani in generale, ma sul bene perseguibile nei rapporti umani mediante l'uso delle parole, mediante il dialogo, per quanto imperfetto inevitabilmente esso sia, questo è ciò su cui verte l'esposizione di Vigorelli. Un piano egualmente ambizioso, nel corso del quale appare a più riprese una certa filosofia dell'esistenza.

La prospettiva, rispetto alla ricerca sui malati, risulta così ampliata in modo considerevole: dalla conversazione si passa alla “posizione dialogante”, dal dialogo in senso stretto, per esempio documentato dalle parole di una registrazione trascritta che ha un inizio e una fine e dura per un certo tempo, 5, 20 o 45 minuti, si passa al dialogo-relazione tra persone, dai confini meno definiti e lasciato piuttosto al concorso di vari elementi, circostanziali, emotivi, corporei, di azioni concrete concomitanti. Un ulteriore ampliamento di prospettiva sta nel passaggio dalla dimensione clinica, dove c'è qualcuno che si occupa di qualcun altro a causa della infermità o menomazione di questi, alla dimensione generica, cui tutti apparteniamo, dell'esistenza quotidiana e dei rapporti che vi si intrecciano, familiari e non, lavorativi e non. Il dialogo, dunque, come apertura verso l'altro, come disposizione a riconoscerne qualità e valori, anche se diversi dai nostri, come esercizio di superamento degli steccati. Gli ultimi capitoli portano esempi tratti dalla politica e dalla storia recente: integrazione in campo politico e sociale, tentativi di dialogo fra parenti di vittime del terrorismo in Italia e ex-brigatisti, incontri fra i massimi rappresentanti di confessioni religiose diverse, con al centro, in questo caso, la figura di papa Francesco.

Tuttavia, il punto di partenza concettuale, e ben evidente anche nell'ordine di esposizione dei vari capitoli, sono le parole, le parole che danno luogo al discorrere tra persone. L'Autore, insieme ai collaboratori che lo seguono nell'associazione “Gruppo Anchise”, dedicata al mondo Alzheimer, ha raccolto negli anni una grande mole di conversazioni con malati e da quella lunga esperienza sul campo ha potuto ricavare la convinzione che anche con le persone in cui la capacità di dialogo è compromessa un dialogo può comunque svolgersi e che lo scambio di parole, se ben condotto, se non si arresta sugli scogli dell'incoerenza o delle amnesie, ha spesso effetto notevole sull'umore e sul comportamento anche della persona disorientata o confusa. Parlare è in fondo un'esigenza dell'anima, così come l'alimentarsi e il dormire lo sono del corpo. Il libro porta alcune trascrizioni di dialoghi condotti da operatori di strutture per anziani che sono di grandissimo interesse e di chiara conferma di tale convinzione.

La ricerca di Vigorelli sulle conversazioni con i pazienti Alzheimer ha tratto ispirazione da molti punti del conversazionalismo di Giampaolo Lai, un debito che viene da lui espressamente riconosciuto: per esempio a proposito delle condizioni che facilitano il dialogo, del valore della parole, prese nel loro senso immediato, letterale, senza metterlo in questione, dell'importanza dello studio degli scambi tra gli interlocutori, cioè dell'alternanza dei rispettivi turni verbali, del fatto che le parole pronunciate da un unico parlante spesso rinviano a sue diverse identità, e inoltre dei due differenti fini, conoscenza o convivenza, che possono orientare come assi portanti un dialogo. Sulla scorta di questi punti fermi, Pietro Vigorelli ha condotto il suo lavoro di studio in istituti di ricovero parlando con malati, operatori e familiari di malati, ha arricchito la sua esperienza grazie a quella dei collaboratori nel suo gruppo e ha via via formulato una sorta di sintesi tra, da un lato, la ricerca sugli scambi verbali, più tecnica, più linguistica, e, dall'altro, la pratica assistenziale in senso più ampio, condizionata in vario modo dall'ambiente di degenza e dalle relative esigenze. Ne è derivato un insieme di idee e di prassi cui l'Autore ha dato il nome di “approccio capacitante”, caratterizzato da interventi, soprattutto verbali ma non solo, che si appoggiano sulle residue capacità dei malati per confermarle e valorizzarle, che mirano a sollevare in qualche misura e per qualche tempo i pazienti dal senso penoso dei propri fallimenti e evitano all'operatore il compito impossibile di restituire, con la forza o la correzione, ciò che è stato perduto. Un confronto tra conversazionalismo e “approccio capacitante” può mettere in evidenza soprattutto un aspetto: nel primo viene cercata la convivenza nel dialogo, restando dentro il dialogo, nel secondo la ricerca della convivenza va attraverso e al di fuori del dialogo.

In Dialoghi imperfetti l'“approccio capacitante” oltrepassa, come ho già osservato, l'ambito clinico originario e viene proposto come modello etico nei rapporti interumani, in tutti gli aspetti della vita. Le persone soffrirebbero allora di una scarsa capacità di entrare in relazione fra di loro, non solo per le ragioni oggettive, materiali o strutturali, che storia ed economia illustrano, ma anche per la scarsa capacità o disponibilità a usare le parole per creare legami e scoprire cose nuove nell'altro. Il rimedio si troverebbe allora negli stessi accorgimenti, nelle stesse attenzioni, nello stesso sentimento del valore altrui che sono alla base dell'“approccio capacitante”.

Si tratta di un allargamento di prospettiva che può suscitare perplessità, risolvendosi in una sorta di semplificazione, in un elogio del dialogo in quanto forma di rispetto per l'altro e tramite di buone intenzioni. Le perplessità sulle tesi dell'Autore, sul senso quanto mai esteso del suo “approccio capacitante”, non intaccano comunque l'impressione gradevole che si trae dalla lettura della sua opera: l'esposizione è sempre nitida, garbata, ben scandita nei tempi e nei nessi del contenuto, gli esempi, presi dalla clinica e dalla cronaca, sono vari e interessanti, lo spirito che informa il libro è lineare e costruttivo.




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