RECENSIONI


Uno scrittore e un libertino a Bordighera di Giorgio Cesati Cassin

Rodolfo Sabbadini recensisce Uno scrittore e un libertino a Bordighera di Giorgio Cesati Cassin. Editore: La vita felice, Milano 2020


Leggendo il romanzo di Giorgio Cesati con l’attenzione forse un po’ deformante di chi spesso si occupa delle parole scambiate tra i personaggi che rappresentiamo nella nostre relazioni quotidiane, la tentazione è subito quella di ricondurre i due protagonisti principali del testo, Davide ed Isaac, ad un medesimo soggetto extra-testuale, il cui profilo si definisce progressivamente nel corso della narrazione.

D’altra parte è lo stesso Autore che, durante il racconto, fa spesso riferimento alla teoria della disidentità, formulata da Giampaolo Lai alla fine degli anni ‘80, con la quale, nelle conversazioni analitiche, si definisce la condizione di una persona che dimostra di essere costituita da identità che convivono, a volte in modo felice, altre volte in modo conflittuale.

In molti passaggi, Cesati esprime un’importante componente della propria, poliedrica formazione personale e professionale. Egli, infatti, oltre ad essere un affermato romanziere, è anche medico, psicologo, psicoterapeuta e, per quanto esprime nel romanzo, soprattutto uno dei ricercatori da tempo impegnati, sotto la guida di Giampaolo Lai, negli studi condotti dall’Accademia delle Tecniche Conversazionali sulle transazioni che intervengono nel mercato dei beni di parola.

La tentazione, allora, suggerita perfino dallo stesso Autore in Premessa, sarebbe quella di declinare nelle esperienze molteplici di Isaac, scrittore in cerca di nuove ispirazioni, e di Davide,  olivocoltore libertino, due possibili disidentità dello stesso Giorgio Cesati.

Conviene, tuttavia, essere prudenti e non giungere a conclusioni affrettate: forse possiamo sperimentare anche altre chiavi di lettura.

Riflettiamo sulle parole che descrivono Isaac, quando Davide non si profila ancora all’orizzonte narrativo:

Un estraneo che in quel momento entrasse lo immaginerebbe un grande studioso. Sarebbe solo un’impressione. In realtà è un uomo dai mille talenti e sa farlo credere agli altri. Gli basta un nulla per ingannare il prossimo. Possiede il cosiddetto physique du role, ed è un attore nato che non ha mai calcato le scene. Il tono profondo della sua voce piace, quando legge in pubblico può commuoversi alle lacrime o prorompere in beffardi cachinni.

Se le note biografiche dell’Autore ci inducono a ritrovarlo nell’Isaac dai mille talenti, per altro verso l’ammissione di essere capace, con un nulla, di ingannare il prossimo ci sollecita a sospettare l’inganno.

La natura dell’attore – dell’attore nato, poi - non si concilia con la nozione di disidentità, sebbene si tratti di due letture – quella teatrale e quella conversazionale – che si fondano, entrambe, sulle parole di un testo che può essere oggetto di drammatizzazione. La differenza però è sostanziale: nel soggetto teatrale l’attore convive con i personaggi che è impegnato ad animare, nel conversazionalismo il soggetto disidentico rimanda esclusivamente alle parole di un testo.

Molti anni fa, scrissi un libro sulle possibilità che gli operatori aziendali hanno di utilizzare efficacemente le tecniche attorali nelle loro funzioni manageriali. In quella occasione, Giampaolo Lai, con la sua benevola recensione al libro per la Rivista Tecniche Conversazionali, evidenziò la netta differenza tra la disidentità e il personaggio:

“Nella concezione del conversazionalismo, non è proprio che ciascuno di noi impersoni una parte. Quella che viene chiamata “parte”, nella concezione pirandelliana e forse A.T. (la scuola psicologica dell’analisi transazionale richiamata nel libro, ndr), comunque una concezione unitarista che considera il sé unitario, suscettibile di suddivisioni in parti o regioni, è, nel conversazionalismo, l’io, il soggetto della frase. E il soggetto della frase non è una parte; è un soggetto, un soggetto certo part time, discontinuante e disidentico, ma non parte di un qualche sé unitario che lo trascenderebbe.”

Disidentità o personaggi teatrali, dunque? E se di personaggi si tratta, chi è l’attore nato che non ha mai calcato le scene, a cui basta un nulla per ingannare il prossimo?

Ipotizziamo che l’attore sia l’autore del romanzo, Giorgio Cesati, e i personaggi siano Isaac, il colto medico-psicoterapeuta-scrittore, ora depresso, ora pacatamente felice, qualche volta ipercritico, talvolta noioso, protagonista di tutta la prima parte del romanzo, e Davide, l’olivocoltore, curioso delle donne, che gode delle diverse forme della loro compagnia, e che – secondo Cornelio, il cuoco amico di Isaac – è “un libertino che se la spassa e che ama mutare l’oggetto del desiderio, arrangiandosi come meglio può… Sa barcamenarsi molto bene, certamente meglio di noi!”.

Davide, nel racconto, è colui che viene designato come soggetto ispiratore di quello che dovrà essere il nuovo romanzo di Isaac, ambientato a Bordighera. Un romanzo nel romanzo, insomma.

L’Autore si destreggia nell’interpretare, con lo scritto, il personaggio del libertino Davide, rappresentandolo animato da giovanile slancio amoroso, oppure travolto da erotica passione o, infine, acquietato in una matura ma ancor vivace serenità, mentre il personaggio di Isaac pare concentrare tutte le caratteristiche che non troviamo nella figura di Davide. Complementare a lui, si direbbe.

Se il distanziamento del narratore, rispetto al personaggio di Davide è netto,  con il personaggio di Isaac l’identificazione emerge, dal testo, in modo piuttosto ricorrente, complici molti tratti biografici che i due hanno in comune.

A questo punto, può essere interessante proporre un’ulteriore griglia per la lettura del romanzo da sovrapporre all’interpretazione drammaturgica.

La psicologia analitico transazionale concepisce il funzionamento della psiche attraverso cinque stati dell’Io che, operativamente, si manifestano con: il Genitore Normativo, capace di conferire a sé e agli altri regole, limiti, struttura operativa, che può manifestarsi negativamente con atteggiamenti ipercritici o ironici; il Genitore Affettivo che sostiene e protegge, ma che talvolta soffoca ed impedisce la crescita; l’Adulto a cui compete la funzione di analizzare oggettivamente le informazioni reperibili dal mondo esterno e dal mondo interno della persona; il Bambino Adattato che rende, nel bene e nel male, la persona capace di conformarsi al contesto sociale e alle richieste del proprio Genitore Normativo; il Bambino Libero, riconoscibile nello slancio a soddisfare senza condizionamenti i propri bisogni biologici ed affettivi.

Se adottiamo i modelli interpretativi del comportamento umano che ho sommariamente richiamato, potremmo ricondurre i due soggetti testuali e il narratore a tre stati dell’Io che - ipotizziamo - rappresentano componenti parziali dello stesso soggetto, riconoscibile in una  persona caratterizzata da una cultura ampia, diversificate esperienze personali e professionali, ironia, umorismo, sarcasmo e un vivace interesse per la vita e per i piaceri che essa è capace di offrire, pur in forme diverse con il passare del tempo.

Riconosciamo in Davide il Bambino Libero che non accetta i limiti delle convenzioni, manifesta senza censure il proprio erotismo e, più avanti negli anni,  mantiene l’interesse per l’altro sesso, seppure in modo più pacato. Possiamo invece intravvedere, nei comportamenti di Isaac, l’impronta del Genitore Normativo, che commenta con ironia il carattere del collega scrittore Bruno Lanteri, è spietato nel giudicare la chirurga-Walkiria che gli impianta un pacemaker e tagliente nei confronti della moglie Sara o dello stesso libertino Davide.  

Infine, quale stato dell’Io riserviamo a Giorgio Cesati?

Quello dell’Adulto, naturalmente. A me sembra che proprio a lui sia riservata la facoltà di considerare il mondo – se stesso e gli altri – con il disincanto di chi, arrivato all’ultimo quarto di una travagliata esistenza, non si sente vecchio, ma piuttosto un uomo bionico (uso le parole che Cesati scrive per definire Isaac), e si concede il lusso consapevole di validare una libera uscita ad una o all’altra parte di sé, Isaac e Davide.

Certamente, queste riflessioni non sono sufficienti a rendere conto della ricchezza di un romanzo che ognuno potrà scoprire piano piano, adottando personali chiavi di lettura.

Uno scrittore e un libertino a Bordighera, infatti, è un libro che prospetta, fin dalle prime pagine,  ampi spazi per l’iniziativa interpretativa e, proprio in ciò, oltre che nella trama intrigante e nello stile vivace e spesso umoristico dell’Autore, troviamo le ragioni di una lettura coinvolgente, ricca di sorprese, mai scontata.




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