RECENSIONI


La teoria delle fette sottili secondo Malcolm Gladwell - numero 35

Pierrette Lavanchy recensisce Blink. The power of thinking without thinking, di Malcolm Gladwell, Allen Lane, Penguin Books, London 2005.


Tutta la ricerca del conversazionalismo parte dall’idea che bastano pochi istanti per cogliere l’essenza di un problema umano. Il peso accordato ai primi cinque minuti di un colloquio; la scelta di concentrare l’attenzione, in supervisione, sull’ultima seduta, anzi su un frammento di seduta, anziché sentire tutta l’anamnesi; l’opzione di eseguire i conteggi delle forme testuali su microframmenti di sedute, tutte queste pratiche vanno nella direzione del minimalismo metodologico, fondato sul concetto che l’eccesso di informazione altera il nostro giudizio perché ci induce a cercare connessioni spesso fuorvianti o perché ci fornisce delle connessioni preconfezionate.

Malcolm Gladwell, saggista e giornalista del New Yorker, non si occupa di terapia né di psicologia clinica, bensì piuttosto di psicologia sociale, orizzonte entro il quale si situano sia il suo primo libro, The tipping point, pubblicato in Italia da Rizzoli nel 2000 con il titolo Il punto critico, sia il secondo, Blink (che vuole dire “in un batter d’occhio”), pubblicato negli Stati Uniti nel 2005. Ma pur nella differenza di ambito, i suoi presupposti hanno punti di contatto interessanti con i nostri. Questi presupposti sono che «da piccoli cambiamenti possono nascere grandi effetti», come dalla prima finestra rotta di una fabbrica in disuso si scatenano spinte alla devastazione, o come dall’adozione di un paio di scarpe in un ambiente circoscritto nasce una moda irresistibile. In Blink, imperniato sulla ricerca di come funzionano i giudizi “intuitivi”, istantanei, che si fanno in un batter d’occhio, il concetto base è che bastano pochi indizi selettivi per giungere a conoscere e quindi a predire elementi che abitualmente riteniamo frutto di lunghe osservazioni e analisi del soggetto.

Se l’Autore avesse ascendenze dantesche, avrebbe potuto adottare il motto: «Poca favilla, gran fiamma seconda». Più prosaicamente, ha battezzato il metodo di ricercare gli indizi selettivi con un’espressione culinaria, quella del tagliare a fette sottili (thin slicing). Per presentare Blink, proverò anch’io a tagliare a fette il discorso dell’autore, riassumendolo in una serie di proposizioni, fra affermazioni e interrogativi.

 1) Posizione del problema. A volte un giudizio intuitivo vale più di tante analisi. Il primo esempio è quello di una statua presunta antica, il kouros acquistato a caro prezzo dalla fondazione Getty, che si è poi rivelato un falso. Laddove l’approccio analitico della ricerca scientifica appoggiata da tecnologie raffinate aveva sentenziato l’autenticità dell’opera, il “fiuto” degli esperti, fra i quali Federico Zeri, aveva sentito qualcosa di dubbio, senza tuttavia poter documentare inequivocabilmente questa sensazione. Fosse stato possibile, forse non sarebbero prevalso gli interessi para-artistici legati all’operazione.

2) Su che cosa si basa un giudizio veloce? In una situazione di perizia, l’esperto che deve diagnosticare una situazione e/o predire un’evoluzione ha vantaggio a utilizzare piccoli prelievi, come fanno gli anatomopatologi, che tagliano a fette sottili il materiale da esaminare. Ecco dunque il thin slicing.

In un esempio, Gladwell esamina i metodi utilizzati nel laboratorio dello psicologo John Gottman, che si occupa di predire se una coppia rimarrà unita o divorzierà. La predizione si basa sulla registrazione audio-video di una conversazione di 15 minuti, in cui la coppia parla di un problema comune (per esempio del cane voluto da lei e non accettato da lui). Più che sul testo, questo psicologo si focalizza sugli atteggiamenti, anche non verbali: il fatto che la moglie abbia una mimica di disprezzo, il fatto che non dia alcun segno di accogliere i tentativi di conciliazione o di negoziazione del marito sono manifestazioni della sua inflessibilità, di prognosi negativa.

Altri esempi sono quello dell’azienda che deve scegliere futuri dipendenti fra un gruppo di studenti, sulla base dell’ispezione a sorpresa della loro stanza in college; quello dell’assicurazione che deve prevedere quali medici sono suscettibili di essere querelati dai loro pazienti: a tale riguardo verrebbe dimostrato che ciò che conta non è la più o meno grande competenza, non è la presenza o assenza di errori, bensì la relazione del medico con il paziente. La predizione si fonda sulla registrazione audio di un breve colloquio, depurata dalle frequenze più alte, di modo che non si capiscano le parole ma solo le intonazioni; se la voce del medico è dominant, sovrastante, aumenta la probabilità che quel medico sia soggetto a essere querelato.

3) Ma non possiamo essere influenzati da pregiudizi? Gladwell  introduce l’idea che di solito non sappiamo che cosa ci induce a pensare o decidere in un determinato modo. Gli esperti d’arte come Bernard Berenson non sono capaci di spiegare, neppure in una corte di giustizia, perché ritengono falsa un’opera. Un ex campione di tennis dice di poter sapere in anticipo se un giocatore farà doppio fallo, ma non riesce a capire da quale elemento gli proviene la sensazione. Sono giudizi o decisioni lampo, snap judgements o snap decisions, che possono essere azzeccati ma anche basarsi su pregiudizi deleteri. Un Presidente degli Stati Uniti, Warren Harding, venne eletto perché aveva le physique du rôle, ma deluse profondamente l’elettorato, che l’aveva scelto in base a una determinata gestalt estetica. L’Autore dà poi esempi d’influenzamento occulto, sia sperimentale, sia preesistente.

4) Viceversa, non può nuocere all’azione un eccesso di informazione? L’Autore argomenta, in linea con le sue premesse, che in molti casi una lunga disamina dei fattori in gioco sommerge le persone con troppi dati e nuoce alla decisione, anche perché la rallenta. Due sono gli esempi più significativi. Il primo è una simulazione del Pentagono in cui si fronteggiano un Blue team, governativo, e un Red team, “nemico”, che usano principi differenti; il Blue team è caratterizzato da una gestione centralizzata ed è dotato da una quantità di rilevazioni tecnicamente superlative; il Red team ha mezzi molto più rozzi ma il suo comandante agisce in base a due imperativi mutuati dalla guerra del Vietnam: il “principio del fare” e quello di delegare la responsabilità a valle piuttosto che accentrarla a monte. Vince il Red team, perché lascia spazio all’intuizione che la gestione iper-razionale del Blue team inibisce e soffoca. (Anche se poi, in una seconda prova, viene dato al Red team un handicap tale che può solo perdere.) Il principio del fare, dell’andare avanti, dice l’autore, vale anche in altri ambiti: è prezioso per esempio nella pratica dell’improvvisazione teatrale in cui la regola è non rifiutare mai i suggerimenti, portare sempre avanti la fantasia.

Il secondo esempio riguarda la gestione dei casi di sintomi cardiaci in un ospedale sovraffollato di Chicago. Come capire se rinviare i pazienti o ricoverarli? Lasciati ai loro schemi i medici tendono a moltiplicare gli esami e molte volte non sono d’accordo sui criteri. Utilizzando un algoritmo elaborato da un oscuro cardiologo, che si affida a quattro criteri soltanto, si constata che la probabilità di errore sulla diagnosi diminuisce del 20% e molto tempo viene risparmiato.

5) Come fare per non lasciarsi prendere da forme di thin slincing ingannevoli, per esempio determinati sondaggi? A questo punto l’autore fornisce dei contro-esempi alla sua tesi, che fanno pensare all’opportunità di un’analisi più approfondita. Nella lotta fra Coca-cola e Pepsi-cola, un sip test, test del sorso, che sembrerebbe un’istanza tipica di thin slicing, aveva mostrato una netta preferenza del pubblico per Pepsi, più dolce della bibita classica. Sulla base di questo risultato, Coca-cola produsse la New Coke, più dolce della Coca-cola, e fu un flop. Perché? La spiegazione è che il sip test è fuori contesto, perché la gente giudica un prodotto sulla base della lattina intera. Altre ricerche di mercato danno risultati falsati perché le aziende testano il prodotto e dimenticano l’imballaggio. C’è anche il caso di prodotti rifiutati perché nuovi e inconsueti, e accettati alcuni anni dopo perché il gusto cambia. I problemi esaminati costringono quindi ad affinare i concetti e a reintrodurre il fattore tempo.

6) Come fare per interpretare correttamente i segnali in un tempo limitato? Se qualcuno avesse dubbi sull’importanza del tempo nei problemi della decisione, potrebbe ricordare il ruolo della procrastinazione nella psicastenia descritta da Pierre Janet. Vi sono situazioni in cui non è permesso essere psicastenici, ma è altrettanto proibito essere impulsivi, come nel racconto di un tragico errore di quattro poliziotti nel Bronx. È mezzanotte passata, un giovane del luogo prende il fresco sul portone di casa e si guarda in giro; arriva la pattuglia che lo prende per uno spacciatore e avanza minacciosamente; il malcapitato crede che siano malviventi e accenna a una fuga; i poliziotti lo inseguono ad armi spianate; lui pensa che vogliano i soldi ed estrae il portafoglio dalla tasca; loro vedono un oggetto nero e allungato, credono sia una pistola e sparano uccidendolo. C’è quindi stato un doppio malinteso, basato su un’interpretazione sbagliata della mimica facciale e gestuale dell’antagonista. Il fattore tempo è in primo piano. Ogni persona non autistica, dice l’Autore, legge correttamente il senso delle espressioni del volto e dell’atteggiamento corporeo. Ma sotto stress si diventa autistici, e lo stress è legato al tempo. Così i poliziotti non hanno saputo leggere gli atteggiamenti del giovane. Ma neanche la vittima ha capito di aver a che fare con poliziotti. Qui entrerebbe in gioco un secondo fattore, il fattore gruppo. I poliziotti in gruppo si sentono più forti, sono più baldanzosi e fanno più paura. Un poliziotto solo è più impaurito, pertanto si muove in modo più circospetto e più lento, cercando di evitare stragi inutili. I due fattori, tempo e gruppo, si congiungono in quanto il poliziotto solo cerca di prendere tempo, mentre il poliziotto in gruppo tende a reagire in modo più immediato.

 

Giunti alla fine della lettura, possiamo dire di aver assistito a un incontro vinto dalla squadra della decisione lampo, Blink, contro la squadra dei calcoli multifattoriali? Se ha vinto Blink, è di misura, per la seduzione che l’intuito, veloce, aereo, istantaneo, esercita sulla mente; non tanto per la nostra convinzione di aver imparato a evitare gli errori. Il merito del libro consiste probabilmente nell’aver colto il bisogno di semplificazione delle persone, sempre più costrette a imparare l’uso di tecnologie complicate, sempre più subissate di notizie e di raccomandazioni. Tuttavia rimane difficile sapere, in ogni processo decisionale, come attuare la semplificazione. E forse  l’autore stesso rimane vittima dell’abbondanza che denuncia. Blink è un libro molto leggibile e godibile, come del resto è stato il libro precedente. Ha un solo difetto: l’eccesso d’informazione, di materiale, di esempi. Si potrebbe dire che l’Autore ci mette troppo tempo per propagandare la rapidità fulminea che risparmia tempo.




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