ALGORITMI



La modalizzazione degli enunciati non modalizzati

La modalizzazione degli enunciati non modalizzati
 
Nel nostro lavoro del gruppo chat del lunedì si siamo spesso trovati in difficoltà di fronte a enunciati del tipo:
a)      “salgo in treno”
b)      “guardo fuori dal finestrino”
c)      “l’orologio segna le otto e venticinque"
Per un po’ li abbiamo trattati come enunciati non modalizzati, siglandoli come vero-funzionali, VF. Con il passare del tempo, alcuni tra noi hanno avvertito intuitivamente la possibilità, e forse l’utilità, di modalizzare anche gli enunciati non modalizzati. Ora proviamo a portare alcune pezze di giustificazione a questa proposta. Prendiamola alla larga.
La grammatica tradizionale distingue quattro categorie di enunciati:
a)      enunciati affermativi
b)      enunciati negativi;
c)      enunciati interrogativi;
d)      enunciati imperativi.
Gli enunciati affermativi (e anche quelli negativi) sono accorpati nella categoria degli enunciati dichiarativi, i quali esprimono constatazioni di fatti o eventi al di fuori degli atteggiamenti preposizionale (modali). Austin, da parte sua, distingue tra
a)      enunciati performativi
b)      enunciati constativi.
Gli enunciati constativi sono i normali enunciati descrittivi, dichiarativi, referenziali, dei quali si può dire che sono veri o falsi. Es: “I gatti sono felini”; “il sole sorge ancora”, “il treno è in ritardo”, “nel campionato 2006-2007 la Juve gioca in serie A”. Mentre gli enunciati performativi sono quelli che non descrivono né constatano alcunché, dei quali quindi non si può dire se sono veri o falsi, ma invitano a fare qualcosa o mediante i quali si fa qualcosa. Per es. “Chiudi la finestra”; “vi dichiaro marito e moglie”. Anche Buhler utilizza la tripartizione:
a)                  enunciati espressivi (io) [Gp versus ~Gp]
b)                 enunciati conativi (tu) [Op]
c)                  enunciati referenziali (ciò, il mondo)[Kp versus ~Kp oppure Bp]
Al seguito di Buhler, anche Jacobson distingue sette funzioni del discorso, tra cui, quelle che ci interessano sono:
a)                                         funzione referenziale (o rappresentazione, o denotazione, centrata sul ‘ciò’, sul contesto, come è proprio degli enunciati dichiarativi, veri o falsi;
b)                                         funzione emotiva o espressiva
c)                                         funzione conativa o appellattiva.
Insomma, ci sono buone ragioni per siglare le [o almeno alcune delle] frasi dichiarative, o gli enunciati constativi, o le frasi referenziali (sono lo stesso oggetto, con diversi nomi) secondo le modalità, in primo luogo secondo la modalità epistemica, del sapere, Kp. La ragione intuitivamente più evidente, è che se un enunciato: constativo, dichiarativo, è una funzione di verità, può essere detto vero o falso, VF, questo puo dirsi in chiave epistemica: so che è vero, so che è falso. Pendiamo i due enunciati:
a)      il treno è arrivato alle sedici e venti
b)      so che il treno è arrivato alle sedici e venti.
L’enunciato b): ‘so che il treno è arrivato alle sedici e venti’ lo sigliamo senza problemi come Kp. Perché, per noi, conta non tanto il fatto che ‘il treno è arrivato alle sedici e venti’, quanto il mio atteggiamento preposizionale in cui affermo la mia conoscenza, ‘so’, Kp, del fatto in questione. Ma quando dico: ‘il treno è arrivato alle sedici e venti’, implicitamente dico che ‘so’ che ‘il treno è arrivato alle sedici e venti’. Che il treno sia arrivato alle sedici e venti è un fatto vero o falso [VF] che non dipende da me che dico: ‘il treno è arrivato alle sedici e venti’, oppure ‘so che il treno è arrivato alle sedici e venti’ [Kp], che esprime il mio atteggiamento preposizionale di sapere, Kp. Mentre il mio dire ‘so che il treno è arrivato alle sedici e venti’ dipende dal fatto che il treno sia arrivato a quell’ora lì [dobbiamo presupporre la sincerità del locatore per procedere nel ragionamento] . In altri termini, è come se dicessi: ‘so che il treno è arrivato alle sedici e venti’, aggiungendo la clausola: ‘e questo è vero’.
            Nella Logica Epistemica Dinamica [DEL], c’è un assioma, che si chiama assioma di verità, truth axiom, che si scrive così:
a)                                         Kj α \\--> α che si legge: «l’agente j sa [K] che α , conosce α [dove α è una proposizione, tipo ‘il treno è arrivato alle sedici e venti’] se α è vera».
Questo assioma permette di distinguere gli atteggiamenti proposizionali del sapere, del conoscere, Kp, da quelli sempre epistemici, ma del credere, Bp. Infatti, una formula analoga alla precedente, sostituendo Kp con Bp, sarebbe falsa, come vediamo in b):
b)                                         Bj α \\--> α che si leggerebbe: «l’agente j crede [B] che α , ipotizza che α [dove α è sempre una proposizione, tipo ‘il treno è arrivato alle sedici e venti’] se α è vera». Infatti, l’agente j può credere che il treno sia arrivato alle sedici e venti, [α] anche se il treno è arrivato alle sedici e trenta o non è arrivato affatto. In altri termini, mentre l’atteggiamento proposizionale del Sapere, Kp, presuppone la verità di p, [assioma di verità], l’atteggiamento proposizionale del Credere, Bp, non presuppone la verità di p.
Ma basta così. Rileggendo, è facile scorgere alcune contraddizioni in questa nota sulla modalizzazione degli enunciati non modalizzati, e alcune Opacità, O. Tutti noi del gruppo chat del lunedì siamo invitati a eliminare le contraddizioni e a aumentare la trasparenza, T.
 
A cura del Gruppo chat del lunedì.



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